Bisogno primario dell’essere umano, del contatto non possiamo proprio a farne a meno. E, benché il trending topic a-social delle conversazioni reali dica l’opposto, anche il contatto virtuale è parte integrante delle nostre vite. Riflesso immediato dei media, non c’è nulla di male nel mondo del second screen. Che la tv abbia bisogno di quella energia emotiva che solo i social danno? Se ne è parlato in Comunicazione e giornalismo: come cambiano nell’epoca dei social media. Il panel discussion del Festival del Giornalismo 2016, è stato moderato dalla giornalista Paola Bacchiddu insieme a Luca Alagna, consulente digital marketing, Marco Esposito, direttore di Giornalettismo.com, Carola Frediani di La Stampa e Daniele Chieffi, capo ufficio stampa digitale e social media manager Eni.
Piattaforme di noi stessi postiamo, twittiamo, instagrammiamo e – non ultimo- telegrafiamo. Non ci limitiamo a condividere contenuti: produciamo noi stessi traffico e interagiamo con gli altri e direttamente con le aziende. Non esiste, perdonate il gioco di parole, intermediazione mediatica. Il contatto – rieccolo- è immediato e senza filtri. Puntuali, diamo feedback, positivi o negativi a tutto quello che si fa in rete e non solo.
“La voce di un’azienda è una voce di parte” afferma Daniele Chieffi “che però si assume la responsabilità di comunicarsi al pubblico in maniera trasparente.” Si badi bene, non fa informazione e non è tenuta a farlo. E’ un’azienda, non una testata giornalistica. Deve pertanto comunicare dei dati reali e costruire una credibilità sociale sulla base della fiducia col lettore.
La creazione di questo legame garantisce, senza dubbio, un buon livello di engagement ma avere un like non significa essere letti veramente. Occorre dunque chiarire al lettore dove si trova e che contenuto sta leggendo. Solo così l’interazione lettore-azienda può avere valore, perché diventa occasione di scambio.
Ma se il giornalismo è un falso mestiere, il brand journalism cosa è? La risposta è a metà strada: il primo parla di fatti che riguardano le persone e il secondo di cose che servono alle persone. Ma la vera domanda è: esiste un’intellettualità morale che pone delle regole alla alla strategia di comunicazione? La domanda è provocatoria, la risposta immediata: tutto è concesso, almeno al momento, ma le buone pratiche non dipendono dalla tecnologia che utilizziamo.
“Con i social parola a legioni di imbecilli”? La rete non può essere ridotta a mero spazio virtuale dove chiunque può dare sfogo alle più inutili conversazioni. Esiste un livello sociale formato da una expertise di comunicatori, élite della nuova borghesia virtuale.
(grafico sul notevole flusso di conversazioni realmente avvenute su #energytelling di @Eniday al #ijf16, relativa agli ultimi 18.000 tweet prima del 10 aprile di Eugenio Maddalena)
video clip “Contact” Daft Punk
Federica De Felici