Video hard: la colpa è della farfalla che batte le ali

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teoriadelcaoshx3Nella vicenda di Tiziana non ci sono colpevoli, ci sono attori più o meno consapevoli, c’è un continuo rincorrersi di leggerezza, mancanza di consapevolezza e automatismi stritolanti, quelli di un ecosistema sociale digitale che ha le proprie regole e le proprie dinamiche.
Una vicenda questa che somiglia tanto alla teoria del caos, quella della farfalla che batte le ali a occidente e dell’uragano che si scatena a oriente. Il battito di ali lo dà lei, la ragazza che per una serie di motivi (esibizionismo, leggerezza, ansia di piacere, semplice eccitazione sessuale) decide di lasciarsi riprendere in video mentre fa sesso e di inviare questi video ad alcune persone.

Qui il primo aspetto: la ragazza era ben consapevole di essere ripresa, tanto da adottare un atteggiamento che poteva essere percepito quasi fosse un’interpretazione. Le movenze, i gesti, le parole erano sovraccariche, quasi da sembrare non del tutto spontanei. Nulla di male in questo, sia chiaro ma privatamente questa modalità può essere parte di un gioco, un atteggiamento, una posa, sul web può essere percepita in modo radicalmente diverso.

Quei video vengono poi condivisi da lei su una piattaforma di messaggistica diretta. Qui la prima grande ingenuità: pensare che ciò che viene messo nelle mani di altre persone, sia pure poche, non rischi di essere poi trasmesso ad altri. Il meccanismo identico di quando diciamo “ti rivelo una cosa ma non dirla a nessuno” e sappiamo benissimo che verrà invece immediatamente comunicata. Solo che in questo caso non si tratta di un gossip ma di immagini che ti ritraggono mentre fai sesso. In buona sostanza stai consegnando la tua vita nelle mani di qualcun altro.

E qui c’è una responsabilità precisa da parte di chi, volontariamente, decida di far uscire un contenuto strettamente privato da un ambito anch’esso privato (una piattaforma di messaggistica diretta) a uno pubblico, senza consenso.

Risultati immagini per tiziana cantone fidanzatoQuesto è un reato ma è anche l’attivazione del processo di trasformazione di quel contenuto in qualcosa di diverso. Perdendo la sua dimensione privata e acquisendo quella pubblica quei video assumono il significato e il valore che dà loro la piattaforma che li accoglie e dove gli altri utenti li trovano. Le piattaforme porno sono gonfie di video auto prodotti, di persone che offrono se stesse o le proprie mogli al voyeurismo altrui. Di fronte a quei video non ci si chiede se chi vi è ripreso sia o meno consenziente, lo si dà per scontato perché quello è un ambiente dove il consenso e l’esibizione sono alla base stessa. Così i video di Tiziana diventano uguali agli altri: da consumare, da sbranare con gli occhi, da condividere con gli amici su whatsupp scrivendo “guarda questa…..”.

Il web funziona così, è inutile scandalizzarsi. Un grado di separazione oltre la ristretta cerchia di persone alle quali Tiziana aveva mandato il video nessuno avrebbe potuto sapere quale fosse la vera origine di quelle clip e neanche sarebbe stato giusto se lo chiedesse. Consumiamo milioni di clip come quelle.

Così la Rete ha fagocitato i video e Tiziana e ha iniziato a costruire un senso e un significato a quelle riprese, significato aiutato da come lei stessa si era data alla telecamera. Quelle parole e quei gesti sovraccarichi, che richiamavano stereotipi e gerghi precisi, hanno innescato percezioni da parte degli utenti altrettanto precise e da lì sono nati i tormentoni, le parodie, i meme.

L’ecosistema sociale digitale ha fatto il suo lavoro: ha innescato un processo di costruzione collettiva e partecipata del significato, creando oggetti mediali completamente nuovi, che prescindono dalla ragazza e da quello che effettivamente ha fatto o aveva intenzione di fare.

Tutto questo a voler parlare in termini sociologici e tecnici, rimane il fatto che fra i denti di questo meccanismo ci è rimasta una ragazza vera, con tutti i suoi sentimenti e il suo dolore e la sua sprovvedutezza. Chi avrebbe potuto tentare una difesa in realtà è diventato il principale protagonista di questo meccanismo. Parliamo dei media, giornali e giornalisti, che, in perfetto stile digitale, hanno intercettato il trend, ci sono saltati in sella senza fare una sola verifica, senza capire se, invece che essere una geniale operazione di viral marketing o la modalità scelta per percorrere la strada della celebrità da parte di una aspirante pornostar, non fosse invece qualche altra cosa.

Una vera teoria del caos, una sorta di algoritmo infernale, questa vicenda però squarcia chiaramente il velo su alcuni aspetti gravissimi. Innanzitutto l’assoluta mancanza di consapevolezza nell’uso di questi strumenti. Non siamo pronti per utilizzare la potenza del digitale, diceva Giuseppe Granieri, ed è vero. Tiziana ha iniziato tanto deliberatamente quanto inconsapevolmente il suo percorso sulla sua personale Via Crucis pensando di fare ben altro. Chi ha diffuso quei video a sua volta l’ha fatto per altri motivi, non certo per una strategia virale deliberata e, probabilmente, neanche consapevole di commettere un reato grave. Il web ha fatto esattamente il suo lavoro di ecosistema in grado di costruire significati e senso in maniera partecipata, condivisa e incontrollata. I media per parte loro hanno continuato a non fare bene il loro mestiere. In buona sostanza niente di nuovo sotto il sole.

Che fare ora? Potrei scrivere, in maniera abusata e banale: spero che la morte di questa ragazza induca a prendere seriamente una campagna di profonda educazione al digitale. Spero che la morte di questa ragazza costringa i giornalisti a fermarsi e fare una verifica in più. Tutto già detto, più e più volte. Urli nel deserto. Ecco perché la vicenda di Tiziana non ha cambiato assolutamente nulla e nulla cambierà, solo lei non c’è più.