Social Media Relations, un manuale contro i venditori di fumo

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Da Youreporter, pubblichiamo la recensione di Angelo Cimarosti

Nel grande frullatore delle media relation, e peggio ancora, di chi insegna media relation, le carte “online” e “social” vengono gettate sul tavolo in ogni partita giocata: in quella dei corsi universitari, nei master e nei seminari, nell’aggiudicazione di un ufficio stampa, di una campagna di comunicazione, di una strategia aziendale. La filosofia in molti casi è quella del “tanto va bene tutto, basta fare un po’ di casino”. Daniele Chieffi è tra quelli che costruiscono argini a questo tsunami di comunicazione “a spanne”, dove l’istinto ha sì un ruolo, come in tutte le umane attività, ma le competenze  e le tecniche professionali sono l’unica vera arma.
Dopo aver fatto uscire “Online media relations”, ora tocca a quello che è a tutti gli effetti un manuale, ma anche uno sguardo competente che va molto oltre lo scopo di essere un sussidiario. “Social media relations” (editore Gruppo 24Ore) è un libro che vale la pena studiare. Non ci sono solo i “consigli degli esperti”, ma è un utile stato dell’arte delle potenzialità delle dinamiche sociali del Web, ad uso dei neofiti, dei professionisti ma anche, e soprattutto, degli scettici, quelli che pensano che “basta fare un po’ di casino”. Si viaggia tra influencer e snodi, tra viralità e territorio digitale, con linguaggio chiaro ma per nulla banale, che pretende di essere letto con attenzione per fuggire da semplificazioni e da neo-luoghi comuni di cui si è già intrisi. Tattiche, strategie, strumenti, metriche, misurazioni per rendere il proprio lavoro tangibile. E’ una mappa per evitare le illusioni della diffusione social come miracolo, come ispirazione messianica di iniziati, ma per trovare la strada, difficile ma sicura, verso l’uso utile e consapevole dei social media per i comunicatori.

In realtà le potenzialità del settore sono ben poco sfruttate in Italia: “Siamo a non più del 10/15% di quento si potrebbe fare – dice Chieffi – Le aziende che dovrebbero utilizzare questo strumento in maniera massiva non lo fanno perchè hanno il sacro terrore della critica, non capendo che invece rispondere alle critiche ed accettarle è il vero sale della relazione. Le aziende italiane sono culturalmente in ritardo, vivono in un’ottica di comunicazione assimmetrica, si percepiscono in una posizione assimetrica rispetto agli stakeholder, e riversano questa loro arretratezza nella rete”

La cartina di tornasole per Daniele Chieffi ha delle spie semplici ma precise: “Quando un utente vede che l’azienda non risponde dopo 22 ore si rende conto che non c’è il feedback”. E questa, per un utente, è di fatto evidentemente una sentenza. Sul fronte culturale d’altronde il cambiamento è ad ostacoli: “Esiste tutta una generazione di professionisti della comunicazione che non ha assimilato i nuovi strumenti, e i giovani sono ancora all’esterno delle aziende”. Rivoluzione quindi rimandata, o a rate, all’italiana. Per forza, quando bisogna pur sopravvivere: “I consulenti esterni, anche quando hanno le competenze sufficienti per spingere a un salto culturale le aziende, si adeguano invece a quello che le aziende pensano in quel momento”. Salvo poi doversi affidare, per colmare il gap, al primo abile venditore di fumo, che però secondo Chieffi si può riconoscere: “Quando ti promette risultati eclatanti in poco tempo e con facilità per ciò che invece ha bisogno di un grosso impegno in termini di risorse e di orientamento culturale, per risultati che non si possono certo ottenere in due mesi.

di Angelo Cimarosti