Followers falsi, personal branding vero

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Dunque, Marco Camisani Calzolari ha pubblicato un paper nel quale sostiene che oltre il 54% dei followers di Beppe Grillo sono account fake. La cosa ha avuto l’inevitabile visibilità e viralità nel Web e, visti i tempi e le “luci accese” sul movimento 5 Stelle, è finita con bella evidenza anche sulla stampa tradizionale, addirittura, in qualche caso, nelle pagine della politica. Una bella esposizione che però lascia un po’ perplessi. La questione sembra molto ben allineata con un’altra uscita dello stesso Camisani Calzolari, nella quale sosteneva di aver acquistato 50.000 followers e, neanche troppo indirettamente, accusava un po’ tutto il mondo del marketing online di doping, ovvero di drogare le pagine e gli account con migliaia e migliaia di falsi profili, dietro cui, nella migliore delle ipotesi, c’erano società basate in luoghi remoti del pianeta. Ovviamente si è scatenato un pandemonio e la levata di scudi indignata dello IAB e di quanti col Web fanno o provano a fare business.

Prima di andare avanti mettiamo subito un punto fisso: Camisani Calzolari ha detto una cosa vera. La compravendita di profili, i fake, i bot, le azioni di “pulizia” della reputazione online attraverso tecniche non esattamente ortodosse, esistono e sono un’attività lucrosa e diffusa. Chiunque viva a contatto con il Web e più ancora chi abbia a che fare con grandi aziende lo sa fin troppo bene. Ma è proprio questo suo “aver ragione” che lascia un po’ perplessi. Sembra infatti, un po’ la scoperta dell’acqua calda ma con una particolarità, è un’operazione di finissima furbizia mediatica. La provocazione, in comunicazione, si sa paga e bene, in termini di visibilità. Insomma sembra proprio che il buon Camisani Calzolari abbia scoperto un “filone” e lo stia ben cavalcando.
Basta infatti andare un po’ nel dettaglio del suo paper, come fa con posato ma spietato rigore scientifico Michele Caivano aka Fortunecat.it per capire che quello studio non sta in piedi in termini scientifici ma funziona benissimo da miccia per accendere la dinamite. E il Web un po’ ci è cascato. Commenti, fiumi di byte, post (compreso questo) e tanta visibilità per il “provocatore” (il suo klout ringrazierà).

Caso isolato? No, basta ricordare il mitico tweet di Red Ronnie sul terremoto dell’Emilia e i Maya. Un esempio di geniale sfruttamento dell’onda del momento che ha portato il giornalista a finire su tutti i media possibili e immaginabili e la Rete ad avvitarsi su analisi e controdeduzioni. Il risultato finale è stata una bella iniezione di personal branding per il rosso giornalista musicale, così come rischia di esserlo il “filone” dei fake sul Web per Camisani Calzolari.
Insomma un vecchio trucco da comunicatori nel quale, però, i media, tutti quelli che fanno informazione, me compreso, finiamo per continuare a cadere. Che teste dure che siamo!