Informazione online, poca autorevolezza e il rischio virale per la qualità

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L’ottimo lavoro di Pier Luca Santoro sui tassi di condivisione delle notizie dei giornali online sui social network è ricchissimo di spunti di riflessione. Per conto mio sono sostanzialmente due le considerazioni che vorrei aggiungere al dibattito. La scarsa capacità delle nuove iniziative giornalistiche sulla Rete (le cosiddette all-digital) di guadagnarsi reputazione e autorevolezza e quindi, in buona sostanza, pubblico e, dall’altra parte, lo strapotere di Facebook nelle dinamiche social sul Web e il rischio che questo comporta per la qualità dell’informazione online.

 

Andiamo con ordine. I dati che riporta il Giornalaio sono chiari: nel web di lingua italiana, il rapporto fra le condivisioni degli articoli di quotidiani online che sono la declinazione digitale di testate cartacee, rispetto a testate all digital, è 5 a 1. Uno scarto abissale che testimonia quanto l’affidabilità e la reputazione di una testata giornalistica, in Italia, sia ancora un fenomeno che si radica offline e non online. In buona sostanza, i grandi mainstream vivono, a parte i potenti mezzi finanziari e le pingui redazioni, di “reputazione riflessa”. Dall’altra parte le testate all digital vivacchiano su dati di traffico limitati e non riescono, neanche in termini di viralità, a “sfondare”, rimanendo incastrate in nicchie anguste.

 

Su questo vorrei aggiungere un ulteriore elemento di riflessione. Uno studio di prossima pubblicazione di Image Building Digital, società che si occupa di monitoraggio e web analysis di Milano, che ho potuto visionare in anteprima, mostra, in maniera evidente che, in un settore in cui la credibilità e l’autorevolezza contano davvero molto, ovvero l’economia e la finanza, sono decisamente più virali i contenuti di testate specializzate estere degli omologhi dei mainstream italiani. Insomma, quando il Financial Times scrive della crisi economica, gli italiani condividono quell’articolo piuttosto che l’omologo del Sole24Ore. Per le testate all-digital i numeri sono praticamente inesistenti.

 

Esiste quindi un problema grave di reputazione e di credibilità dell’informazione online in Italia. Concentrata su poche, note testate delle quali, comunque, ci si fida sino a un certo punto. Il resto? Mancia, si potrebbe dire, nel senso che i numeri del mondo dell’informazione digitale pura sono davvero pochi spiccioli. Con tutto ciò che ne consegue, sia in termini di pluralismo (ma Internet non doveva essere il luogo della libertà d’espressione?) che di sostenibilità economica del modello di business.

 

In Italia il Web sta replicando una dinamica simile a quella del settore televisivo. Pochi, grandi player oligopolisti e un mercato sempre più asfittico. E a proposito di oligopolisti, la seconda osservazione riguarda Facebook. Lo strapotere del social blu è ulteriormente confermato dai dati di Pier Luca Santoro. Se si condivide, si condivide su FB, Twitter rimane una sorta di “salotto buono” ma la viralità di massa passa per i profili della piattaforma di Zuckenberg.

 

Se a questo aggiungiamo un elemento ormai consolidato nelle statistiche di tutti i siti ovvero che il traffico che arriva da FB cresce esponenzialmente e a breve supererà quello generato direttamente dal sito stesso, lo scenario che si apre, oltre al fatto che sempre più Facebook stia diventando sinonimo di Internet, è quello di un’informazione atomizzata in singoli contenuti che prendono una propria vita “virale”.

 

La dinamica della viralità si basa, come si sa, sul tasso d’interesse che un singolo contenuto riesce a guadagnare presso il pubblico. È ovvio che più un articolo è d’impatto e “forte” e più possibilità avrà di essere condiviso. Questo già ora sta portando all’inseguimento della viralità, più o meno come s’insegue l’audience in tv, prediligendo temi “sicuri”, ovvero in grado d’incontrare il favore della platea di Facebook (basta consultare le statistiche dei pezzi più cliccati). Cosa accada quando s’innesca questa dinamica lo abbiamo visto nel mondo della televisione: abbattimento del livello qualitativo dell’offerta informativa e culturale, sacrifico dell’approfondimento e decisa scelta per tematiche “basse” e d’impatto. Con buona pace della verifica, dell’accuratezza e dell’approfondimento dei contenuti.

 

Facebook, proprio perché rappresenta una platea vastissima e indifferenziata, replica, in digitale, il pubblico delle tv generaliste. C’è da augurarsi che non prenda la medesima deriva della televisione e di molta stampa off-line.