Facebook, siamo tutti testimonial

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La fruizione dei volti altrui da parte degli inserzionisti è sì strumentale alla promozione dei propri prodotti, ma al tempo stesso non rappresenta una forzatura perché le parole utilizzate sono riportate fedelmente (il fallimento del sistema Beacon ha insegnato qualcosa, dunque). Se dunque si nega pubblicamente il proprio gradimento per un prodotto, il messaggio negativo potrà comparire come pubblicità del prodotto stesso a meno che l’inserzionista non vada a filtrare manualmente il messaggio dal proprio flusso. In prospettiva, dunque, diventeranno pubblicità tutte le espressioni positive: le azioni che hanno determinato il contatto tra persona e luogo/prodotto vengono riciclate da Facebook e messe in vendita all’inserzionista il quale può acquistarne un particolare quantitativo per aggiungere volume qualitativo alla propria presenza sul social network.

C’era una volta il “testimonial”. Faceva parte dello star system, perché il suo volto conosciuto sublimava facilmente in garanzia di qualità ed in consiglio per l’acquisto. Poi però le cose sono cambiate e Facebook si è insinuato nel ventre molle del social networking plasmando i contatti per il proprio modello di business. Oggi i “testimonial” di un tempo sono ormai poco significativi (poiché sempre meno efficaci), ed ecco allora che ognuno dei nostri amici può diventare un testimonial. Ognuno dei nostri amici può offrire il proprio volto ad un prodotto. Ognuno dei nostri amici può consigliarci involontariamente le sue medesime abitudini. Ognuno di noi, a sua volta, è amico di altri e può diventare testimonial esprimendo semplicemente un gradimento o un’opinione.

E nasce così un modo del tutto nuovo di far pubblicità, ove il consumatore diventa testimonial sovvertendo tutti gli assiomi secolari della pubblicità sui media mainstream.

Fonte: AdAge

Da WebNews

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