I social media e il rischio della realtà soggettiva

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Quello che ci piace sentire

C’è una cosa, in particolare, che mi affascina. I social network rischiano di darci una visione soggettiva della realtà. Quindi ingannevole. Questo, in fondo è naturale. E tutto sommato non è colpa dei social media ma colpa nostra. Il nostro processo di comprensione della realtà che ci circonda, essendo il mondo troppo grande per avere di tutto un’esperienza diretta, si basa sull’assunzione di input esterni, provenienti da fonti informate. Ed è un aspetto profondamente umano quello di selezionare queste fonti sulla base delle nostre simpatie, affinità. Il problema è antico, ed è particolarmente visibile per quello che riguarda i media cui attingiamo per informarci e farci un’opinione nostra. Difficilmente troviamo persone che leggano sia il Manifesto che il Giornale. Che seguano i tg di Rai3 e di Rete4.

Il tempo è poco, e sono poche le persone che hanno l’interesse e la pulsione intellettuale per ascoltare organicamente le varie campane. Tendiamo a scegliere delle fonti che ci dicano quello che ci vogliamo sentir dire: la tentazione di sentirci riconfermati nelle nostre idee e nei nostri valori, eliminando voci discordanti, è forte. La situazione è analoga per quanto riguarda i social network, in qualche modo. I nostri “amici” spesso sono persone che la pensano come noi, che dicono cose che a noi non dispiacciono – al punto che chi va controcorrente rischia di essere eliminato dalla lista, unfriended, arrabbiandosi talvolta moltissimo di fronte al peggiore degli sgarri nel mondo 2.0. Il che, intendiamoci, va benissimo. Non ci paga nessuno per esporci a opinioni che non ci piacciono, relazionandoci con gente le cui idee non sposiamo o peggio ancora disprezziamo.

Non siamo l’universo

Di qui però il rischio, a lungo andare, di farci un’opinione distorta della realtà, basandoci sugli input che tutti i giorni ci arrivano dai nostri network, da noi stessi selezionati. Non stiamo ascoltando la società, forse stiamo ascoltando solo gente che ci somiglia, ci stiamo costruendo una realtà a nostra immagine e somiglianza. Nulla di nuovo, del resto. Quante volte sentiamo commenti stupiti del tipo «non capisco, tutti parlano male di Berlusconi eppure vince le elezioni…»: forse il problema è che abbiamo scelto, coscientemente o meno, di frequentare solo antiberlusconiani, avendo quindi della realtà un ritratto parziale e basato su un campione certamente non significativo della varietà e ricchezza delle opinioni.

Una realtà, dunque, su misura, che ci può portare, specialmente se siamo profesisonisti della comunicazione, a correre il pericoloso rischio di generalizzare l’ingeneralizzabile. Di estendere il nostro soggettivo all’universo. Di dimenticare che non sempre il target siamo noi. Che «la gente» è diversa da noi, che in qualche modo, se siamo su Internet a leggere queste noiose disquisizioni, siamo un’elite culturale rispetto a chi non va più in là di una rapida occhiata alla Gazzetta mentre beve un caffè corretto al bar. Rischiamo di finire a pensare e dire che tutto il mondo in fondo la pensa come noi, visto che lo vediamo nella pratica tutti i giorni su Facebook, Friendfeed, Twitter. Sul nostro Facebook, Friendfeed, Twitter, però. Perchè la visione universale, totale, oggettiva di questi media, di queste conversazioni non ci è data.

Il mondo, in realtà, è probabilmente più complesso. Fatto da persone che sui social network dicono cose diverse, ma le dicono a persone che non la pensano come noi, la pensano invece come loro. O da persone che sui social network proprio non ci sono. In entrambi i casi voci invisibili (inaudibili) che però esistono. E pesano. Sulla realtà.

da ApogeoOnline

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